URBAN LEGENDS - TUTTESTORIE MAGAZINE N.8
BAR MIRALAGO,
LEGGENDE METROPOLITANE A TEATRO
di Carlo Presotto
Il teatro non presenta l'intensita' di frequentazione della leggenda urbana tipica dell'immaginario cinematografico. Fino ad ora non abbiamo mai avuto occasioni in cui la leggenda diventa addirittura l'elemento centrale della sceneggiatura, o in cui ricercatori di leggende urbane si trovano loro malgrado a dover verificare la truculenta realta' di una di esse.
In teatro, invece, abbiamo notizia di uno spettacolo per la regia di Leo De Berardinis, presentato nella stagione 92/93 a Milano, all'interno del quale, in una storia a piu' voci, veniva narrata una leggenda metropolitana.
E' curioso che in un contesto cosi' sensibile alle tematiche dell'oralita', del quotidiano, tratte dall'osservazione della realta', un aspetto cosi' rivelatorio dell'immaginario sia rimasto in disparte.
Si tratta forse di un disagio nell'affrontare argomenti spesso sgradevoli, o forse del considerare le leggende "basse", argomenti da film di secondo ordine, o invece questa possibile rimozione e' causata dalle difficolta' di individuare gli strumenti adatti a portare queste storie sul palcoscenico?
Nel 1986, dopo diversi anni di lavoro sulla fiaba tradizionale, dalla morfologia della fiaba di magia alla sua analisi simbolica, al lavoro sul campo di folclore dell'area montana veneta, ho incontrato le leggende metropolitane.
Fino a quel punto il mio lavoro sull'oralita' derivava dall'esigenza professionale di trovare storie da rappresentare ai bambini, e come drammaturgo ed attore attingevo dal folclore tradizionale personaggi, motivi, situazioni.
Superato il primo momento di sorpresa, legato al riconoscere come leggende fatti e storie fino allora "creduti", subentro' il fervore collezionistico. Attraverso una serie di contatti (la rivista Tic, Maria Teresa Carbone, Paolo Toselli, Marisa Milani) cominciai a relazionarmi con altri studiosi del settore, ed inserii il tema delle leggende nelle attivita' di formazione che svolgevo sul tema della narrazione. Nei corsi di aggiornamento per insegnanti parlavo degli studi in corso, presentavo il tema, raccontavo qualche storia e ne raccoglievo varianti. La possibilita' di condurre corsi in diverse aree di Italia mi forniva un interessante campione di confronto.
Durante questo lavoro, nel 1989 nacque la prima ipotesi di portare sulla scena le leggende. In occasione de "la notte dei racconti" una manifestazione tenutasi a Vicenza in cui gli spettatori, in gruppi di cinquanta, venivano condotti da guide a scoprire in luoghi suggestivi del centro storico cittadino diversi narratori, presentai Leviathan, uno studio sulla leggenda del pesce siluro.
Lo spettacolo consisteva in un monologo in cui un personaggio, su di una sedia a rotelle, le gambe coperte, raccontava la leggenda, la sua progressiva identificazione in questo animale delle acque sotterranee, mitico ed inafferrabile, ed il dramma della sua cattura. Il narratore progressivamente si infervorava nella storia in cui lui aveva creduto a tal punto da rifiutare i riscontri reali. Il pesce siluro continuava per lui ad essere un mito.
Lo studio durava circa 30 minuti, e venne rappresentato in diverse situazioni, in occasione di laboratori e di incontri.
Si manifestava pero' un problema, ricorrente nel lavoro sull'oralita', dalla canzone alla narrazione.
Nel momento in cui un ricercatore, in quanto tale, si accosta ad una espressione e la raccoglie, quando con le migliori intenzioni la divulga, questa espressione perde il suo contesto naturale e diventa qualcosa di altro, si trasforma.
Nel caso delle leggende, quando si sentono raccontare cosa bisogna fare? Sfatarle, o assecondarle? In sostanza perche' svolgiamo questo lavoro di osservazione? Che cosa cerchiamo di dimostrare?
I problemi emergevano numerosi, ed erano soprattutto problemi "etici".
Nel 1991 avevo deciso di non "sfatare" piu' una leggenda, di non metterla piu' in scena, di tacere. Mi dispiaceva troppo vedere la reazione della maestra quando le spiegavo che la presenza di Vedove Nere nei tronchetti della felicita' non ha poi la consistenza che le si attribuisce, o che forse gli amici dei suoi amici dal viaggio di nozze nelle Filippine erano parte di un esercito di coppie che si erano riportate a casa un topo gigante.
Ma chiunque abbia lavorato in questo campo sa che le leggende sono subdole, ti lasciano in pace per un poco, e poi, quando meno te lo aspetti, ti prendono alla sprovvista, facendoti drizzare le orecchie nelle occasioni piu' disparate.
L'incontro con Giacomo Verde, videoartista e narratore di Treviso, forni' lo spunto per affrontare il problema in termini nuovi.
Verde ha messo a punto negli ultimi anni una tecnica di racconto dal vivo che si vale dell'uso di una telecamera e di un televisore: il teleracconto.
Chi racconta muove degli oggetti molto da vicino all'obiettivo della telecamera, che li riproduce ingranditi su di uno schermo televisivo.
E' come un teatro di burattini elettronico, in cui si possono mettere in gioco tutte le possibilita' espressive del mezzo televisivo, mantenendo nello stesso tempo la presenza viva e reale del narratore-animatore.
Nell'autunno 1993 ha cominciato a prendere forma l'idea di realizzare un teleracconto sulle leggende metropolitane.
Raccontai a Giacomo Verde come ne ero venuto casualmente a contatto, tramite il racconto di una amica, come ero diventato mio malgrado un "esperto", e come deluso dalla superficialita' e dalla consumante invadenza dei media me ne ero allontanato.
Decidemmo che proprio la mia storia sarebbe diventata "La storia" di questo viaggio inconsueto tra i miti.
Al centro del racconto stava sempre il pesce-siluro, ma questa volta il laghetto infestato era rappresentato da una tazza di te'. Mentre parlavo, mi versavo il te', lo zuccheravo ed il padrone della pesca sportiva seminava i pesci, mescolavo con il cucchiaino-remo della barca dei pescatori.
Mostravo foto pubblicate dal giornale del pesce catturato, mostravo la mia foto pubblicata dal giornale come ricercatore di leggende metropolitane.
Una volta presentato lo spettacolo assistemmo ad un interessante fenomeno di spiazzamento, piu' diffuso tra gli adulti che tra i bambini.
Ma allora e' vero? All'inizio ci ho creduto, poi ho capito che scherzavi... o no?
Illuminante il commento di un bambino di seconda elementare:
- Ma e' vera o finta questa storia?
- Ma no, e' una favola!
- Ma voi credete alle favole?
- Le favole sono favole.
- Ma ci sono adulti che credono che questa storia sia vera.
- Gli adulti credono a tutto.
La presenza della televisione, rende evidente il problema della differenza tra realta' e finzione. Le favole sono favole. La televisione e' televisione. Il problema e' quando si perdono i riferimenti, i confini tra favole e realta', tra televisione e vita.
E' piu' vero cio' che ci mostra il telegiornale o cio' che ci racconta una telenovela? Entrambi sono veri in quanto noi prestiamo loro fede. Quando il telegiornale ci parla di una leggenda metropolitana, presentandola come una notizia, cosa dobbiamo dire?
Resta il fatto che le diverse repliche dello spettacolo Bar Miralago hanno sempre sollevato un vivace scambio con il pubblico, una volta chiusa la storia.
Nelle 12 repliche finora presentate ai pubblici piu' diversi siamo arrivati a prolungare l'incontro, dai quaranta minuti del testo, a piu' di due ore, con interventi degli spettatori e racconti di leggende e versioni.
E' stato rappresentato in case private, in scuole elementari, medie e superiori, presso la scuola di specializzazione in comunicazioni sociali dell'universita' cattolica di Milano, al festival nazionale di teatro ragazzi "Una citta' per gioco" di Vimercate (MI) ed al festival di nuovo teatro di Rivoli.
Ha raccolto in ogni occasione un buon interesse per l'originalita' della proposta, data dal suo collocarsi in "border line" tra teatro e narrazione, tra oralita' e televisione, tra realta' e leggendarieta'.
Forse cercare una condizione dinamica, indefinibile, imprevista, e' una strada possibile per rimettere in circolo attraverso il teatro le leggende contemporanee, schegge incontrollate, incontrollabili e quindi rivelatrici, del nostro immaginario.
(Tratto da "Tutte Storie", Notiziario del Centro per la Raccolta delle Voci e Leggende Contemporanee, anno IV, n. 8, dicembre 1994, pp. 4-6)